Nel primo intervallo temporale (1979-1986), gli elementi scatenanti sono stati l’addio al calcio di Gianni Rivera e lo scandalo per calcio scommesse, che hanno portato a due retrocessioni in serie B e due quinti posti come miglior risultato sportivo in campionato.
Nel secondo intervallo (2012-oggi), c’è stato l’addio di tutta quella vecchia guardia che ha riportato il Milan sul tetto del mondo con Carlo Ancelotti in panchina.
Gli addii di gente come Gattuso, Seedorf, Nesta, Inzaghi, Ibrahimovic, Thiago Silva hanno tagliato, definitivamente, il legame con il passato di un’anima rossonera che si tramandava dagli anni sessanta.
Dapprima fu Cesare Maldini e la sua generazione composta da Trapattoni, Schnellinger, Anquiletti che passarono il fuoco sacro rossonero a Gianni Rivera, il quale ebbe il tempo di istruire un certo Franco Baresi. Il Capitano, passo il testimone alla generazione fatta da Paolo Maldini e Costacurta che a loro volta tennero in vita il senso d’appartenenza rossonero anche negli anni di Ambrosini, Gattuso, Pirlo, Seedorf, Shevchenko. Dopo il 2012 non ci fu più nessuno a raccogliere questa eredità.
Eredi di questo invisibile potere, potevano esserlo Ibrahimovic e Thiago Silva, ma scelte (sciagurate) di mercato li portarono lontano da Milano. L’unico rimasto era Ignazio Abate che però non è stato in grado (anche per colpa di smantellamenti societari, ridimensionamenti, allenatori dilettanti) di trasmettere quell’imprinting ai propri compagni di squadra. Così, con l’addio di ieri di Abate, si perde, forse definitivamente, l’ultimo tassello di quel dna rossonero vincente che ha attraversato i tempi.