L’eretico che plasmò il Milan più forte

di Gianni Mura, “La Repubblica”, 26/08/2016

Nascono dal lavoro fatto in settimana. Ma, aggiunsi, se vedo gli allenamenti del Milan dovrei vedere per correttezza tutti gli allenamenti delle squadre di serie A, è impossibile.

C’erano altri due motivi per considerarmi un cocco dell’Arrigo. Il primo è che, grazie a una soffiata di Silvio Smersy, ex di una quindicina di squadre e pittore di clown, ero nel ristorante fuori Parma quando firmò il contratto col Milan. In una sala riservata arrivarono come carbonari, a intervalli, Braida, Damiani, Sacchi. Quando uscì, io e Gigi Garanzini chiedemmo a Sacchi di illustrarci il suo calciopensiero. Lo illustrò, dopo aver premesso che erano le idee dell’allenatore del Parma, non del prossimo allenatore del Milan, che non aveva firmato un bel nulla, che aveva anche altre offerte (Torino e Fiorentina, era noto). Parlò a lungo, e anche bene. Aveva ancora una coroncina di capelli, già bianchi, che facevano pensare a un frate, poi sarebbe diventato come il cantante dei Rockets. E a un certo punto disse («ma questo non scrivetelo, è solo un esempio») che nel Milan aveva visto due giocatori che avrebbe lasciato giù, se non cambiavano registro. “Ti lascio giù” era la minaccia più pesante, in bocca all’Arrigo. Equivaleva a “tu non giochi”. «Tranquillo mister, niente nomi». Rinunciammo a un discreto scoop, perché i due erano Baresi e Virdis, dopo più d’un quarto di secolo si può dire. E poi non è un segreto quello delle videocassette di Signorini mostrate a Baresi, né di Mussi e Bianchi presi dal Parma per soffiare sul collo di Tassotti e Maldini.
Il secondo motivo è che mi considerava, nella redazione di Repubblica, il giornalista amico. Il nemico era Brera, che parlava di eretismo podistico e non poteva amare chi rottamava il calcio all’italiana. Funzionava così: in Coppa Brera preferiva restare a Milano, io seguivo il Milan in trasferta e non potevo che raccontare quello che vedevo: la squadra di casa da subito schiacciata in area, il Milan a suonare la sua musica. Ed era un bel vedere, anche abbastanza nuovo.
L’Arrigo, che a Parma già chiamavano Tavor, non era ancora nei panni di Savonarola, anzi era simpatico perché prendeva ogni argomento dal basso: «Il derby a San Siro? Cosa volete che sia, quando uno ha vissuto Fusignanese — Sant’Alberto». La sua formazione-tipo cominciava con Jascin, Djalma Santos Balestra. Costui, di nome Carles, era il suo terzino- goleador: 12 pere in un campionato. Ci ho parlato. «Schemi, pressing, fuorigioco li predicava già. Appena sentiva una novità, la sperimentava. Un giorno per combattere lo stress ci ha fatto stendere coi piedi alti e ci ha messo le cuffie con la musica classica. Di 12 ci siamo addormentati secchi in 9».
Al bar Repubblica di Fusignano avevo incontrato il professor Silvagni (astrologo, cartomante, spiritista e occultista): «Arrigo ha caratteristiche astrologiche hitleriane, è un Ariete con Marte in congiunzione. Ma non farà una brutta fine. Come Hitler s’è fatto da sé e ha un gran potere di suggestione, ma non resterà a lungo nel calcio».
L’incontro più interessante col professor Alfredo Belletti detto Pulséina, comunista di quelli puri e duri, bibliotecario. Allenatore dell’Arrigo: «Sapeva dare tutto quello che aveva ma che spesso non ba- stava. Giocava terzino sinistro ma era destro. Era un ragazzo chiuso, non sapeva ridere. Io ero un patito dell’Ungheria di Hidegkuti ma nel ‘70 qui eravamo tutti breriani, nel senso di antiriveriani. Un giocatore calligrafico, dannunziano. Ci piaceva Suarez, e Mazzola per come giocava senza palla. Dovremmo esser grati all’Arrigo perché ha fatto entrare Fusignano nella geografia d’Italia. Qui sono nati Arcangelo Corelli, il babbo di Lara St.Paul, il bibliofilo Piancastelli e Lea Melandri. Il profeta di Fusignano, il pelato di Fusignano, il ragioniere di Fusignano. Ragioniere no, ha smesso a pochi mesi dagli esami. Corelli ha dimostrato che la musica non nasce dagli strumenti ma dalla testa, Sacchi che il calcio nasce dalla testa e non dai piedi. Ed è un calcio umanizzato. Va avanti chi crede nel lavoro e non nei doni dello Spirito Santo». Già. L’Arrigo parla spesso di due culture: quella del lavoro, ed è difficile dargli torto, e quella della sconfitta, forse non sufficientemente corroborata da esempi.
Sulla facciata del municipio di Fusignano c’è una targa con su scritto: “Negli ideali della storia, ne’ miti della leggenda, c’è una linea oltre cui comincia il delirio. Questa linea toccarono Mazzini e Garibaldi, nell’anima de’ popoli viventi”. Questa linea toccò anche Sacchi, alzando sempre più l’asticella dello stress, bruciandosi allo stesso fuoco che aveva acceso, chiamandosi alla fine fuori. Ma, pensando a un’altra frase ricorrente dell’Arrigo («in questo mestiere servono tre cose: occhio, pazienza e culo») bisogna ammettere che la massima manifestazione di culo è la nebbia di Belgrado. Mentre l’intervento in due riprese di Berlusconi fa parte dell’alchimia tra le persone: prima lo sceglie, poi lo difende. Eliminato il Milan dal mediocre Espanyol, Sacchi ha contro la squadra e la critica. «Sacchi ci sarà anche l’anno prossimo, cosa che non posso dire per ognuno di voi» dice Berlusconi ai giocatori. Che rinfoderano le scimitarre e si rimettono a lavorare.
E così oggi si può dire che Sacchi ha cambiato il calcio, ha lasciato la sua impronta. Così come io lascio la parola a France Football: nel 2006 vota le migliori squadre del dopoguerra. Primo il Brasile ‘70, seconda l’Ungheria ‘54, terza l’Olanda ‘74, quarto e primo tra i club il Milan di Sacchi. Per World soccer (2007) il Milan di Sacchi è semplicemente la migliore squadra di club di tutti i tempi. E adesso non chiedetemi se rivedremo mai una squadra così, in Italia. Non chiedetemelo perché conoscete già la risposta.
Articolo di Gianni Mura su “La Repubblica” del 26/08/2016
 

A lezione da Arrigo Sacchi: la tattica del Milan ’88-’89 spiegata col Subbuteo

Nel maggio 1989 il Milan ha vinto la Coppa dei Campioni, vent’anni dopo l’ultimo trionfo rossonero in questa competizione. Era il Milan di Berlusconi guidato da Sacchi, arrivato sulla panchina rossonera appena due anni prima. Quella filosofia di gioco del tecnico di Fusignano, all’epoca rivoluzionaria, rivive sul tappeto verde dell’intramontabile Subbuteo: